Una lezione

Vengo da 5 giorni passati all’ambulatorio, sostituendo la suora ora responsabile che era assente: è stato come un corso di aggiornamento di dermatologia (forse potrei ricevere i punti ECM!!)
Il tempo delle piogge non è ancora iniziato (solo qualche sporadica pioggia violenta) e allora la disponibilità di acqua è piuttosto ridotta e con questo si riduce anche l’igiene. Non consideriamo i pazienti con scabbia, dermatiti allergiche o di altro tipo… questa è stata la settimana delle ustioni e delle ferite da taglio.

Un bimbo di nemmeno 2 anni (lo vedete nella foto dopo la medicazione con il papà e la mamma) che prende un bicchiere di acqua bollente e siccome scotta se lo lascia cadere addosso; il ragazzino che accende il fuoco per bruciare le foglie secche e rimane ustionato al braccio, l’altro che il 12 novembre (giorno in cui si ricorda il massacro dei giovani nel cimitero di Santa Cruz) con alcuni amici ha acceso le candele lungo la strada e poi, sedendosi vicino ad una latta piena di cera liquida, la colpisce inavvertitamente e se la rovescia sulle gambe…
Abbiamo poi le ferite da katana (machete), chi si è ferito mentre tagliava dei rami, o, come Juvito, IV elementare, che aiutava i genitori nei campi e si è quasi amputato il pollice.
Tutti con una caratteristiche in comune: molti di loro si presentano all’ambulatorio dopo giorni dal ferimento, dopo che sulla ferita sono state messe foglie, polvere di caffè o altre soluzioni creative! Questo è sempre capitato, ma ora che negli ospedali e nei posti pubblici scarseggiano le medicine (e non si capisce perché visto che il preventivo per la Sanità è stratosferico), questo comportamento viene incentivato.
La seconda caratteristica è la capacità di soffrire: fin da piccoli, come il bimbo della foto, imparano a non gridare il loro dolore e se tu, mentre li “scortichi” parli loro con delicatezza, racconti storie e fai domande, sembrano quasi estraniarsi dal dolore e concentrarsi quasi esclusivamente su di te. Fin ad arrivare a Jovito, che veniva da solo all’ambulatorio dopo aver terminato la scuola, a digiuno si sottoponeva alla medicazione senza dire una parola: unico segnale della sofferenza, le lacrime che a volte scendevano copiose, senza smettere di guardarti in silenzio e senza spostare minimamente la mano.
Ho imparato una lezione questa settimana: c’è sempre qualcuno che soffre più di te, e c’è sempre possibilità di vivere il proprio dolore come un motivo di crescita.

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